Il nostro paese non esce dallo stato di emergenza smaltimento rifiuti, in particolar modo quelli classificati come rifiuti speciali, generando una ricaduta di costi insostenibili per le aziende produttrici.

Partiamo dai numeri: in Italia annualmente vengono generate circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e quasi 140 milioni di tonnellate di rifiuti speciali. Allo stato attuale dei fatti, molte Regioni faticano già solo a smaltire l’accumulo del rifiuti urbano a causa dei pochi impianti sul territorio. Quindi la vera emergenza riguarda i ‘rifiuti speciali’ il cui incremento dei costi di smaltimento è ricaduto direttamente sulle imprese generando un pesante aggravio; si parla di circa 1,3 miliardi di euro l’anno solo per l’industria manifatturiera.
L’incremento di costo più alto viene registrato per le aziende che generano rifiuti speciali definiti pericolosi, i cui costi di smaltimento hanno registrato un aumento del 100% in pochissimi anni.
Le motivazioni sono molteplici: innanzitutto la carenza sul territorio di una rete capillare di impianti di smaltimento idonei che costringe spesso al trasporto fuori zona di tutte le sostanze, che essendo ‘pericolose’, deve avvenire con determinati criteri di sicurezza.
A questo si è aggiunto un importante giro di vite legislativo delle Regioni che, nell’ambito di nuove politiche ecologiche, hanno attivato una serie di normative riguardanti il settore smaltimento e conseguente aumento dei controlli, sia presso le imprese, che nei rispettivi impianti di smaltimento territoriali, trovati spesso inadempienti.

Anche la lotta alle agro-mafie ha portato delle conseguenze; lo scandalo della terra dei fuochi e la presa di coscienza tanto dei cittadini, quanto dei comparti aziendali, su quale danno possa creare la non corretta manipolazione dei rifiuti speciali, in particolare ‘pericolosi’, ha smantellato un sistema illegale di smaltimento che per anni ne ha contenuto i costi.
Cosa accade quindi in Italia?
La radice del problema secondo Legambiente è da imputare ai ritardi burocratici e alla complessità dell’iter nell’emissione di decreti ed autorizzazioni, come da protocolli europei, di revisione e adeguamento degli impianti di smaltimento, in particolar modo quelli a cui sono destinati i rifiuti speciali pericolosi. La stessa Ecotassa richiesta ai Comuni dalle Regioni che, doveva essere un incentivo risolutivo alla situazione smaltimento, delegando la responsabilità del controllo ai singoli enti locali, si è rivelata inefficiente in quanto perpetua il sistema ‘discarica’ ormai superato negli altri paesi della Comunità Europea che invece hanno investito nella realizzazioni di sistemi di smaltimento moderni e più efficaci.
Il rapporto 4 a 1, dichiara ancora Legambiente, tra il numero degli impianti della filiera del riciclo e quello delle discariche operative in Italia è assolutamente inadeguato di fronte alle esigenze del nostro paese.
Sta proprio quindi nel costruire nuovi impianti di riciclo il nodo fondamentale per uscire da questa crisi che coinvolge tanto la filiera di gestione del rifiuto quanto ogni singolo comparto di produzione.
Lasciare che tutto il peso sia in termini di costi, che in termini di controllo e stoccaggio, dei rifiuti speciali, ricada sulle aziende produttrici italiane genera un freno sia a livello di PIL regionale che nazionale con un’inevitabile ricaduta occupazionale ed economica sui cittadini, che oltre a patire conseguenze in termini di salute causate dall’inquinamento, subiscono anche il danno di un mancato rilancio dell’economia e del lavoro. Oltre il danno, la beffa.
