Si chiama Pacific Trash Vortex o semplicemente Isola di plastica, una grande chiazza di immondizia in pieno Oceano Pacifico; un enorme accumulo di spazzatura galleggiante composto soprattutto da plastica.

Un’isola talmente grande e, in continua mutazione, che la sua estensione non è nota con precisione: si stima che possa avere una superficie  che va da 700.000 km² fino a più di 10 milioni di km². L’ammontare complessivo della sola plastica dell’area è di 3 milioni di tonnellate, ma l’area potrebbe contenere fino a 100 milioni di tonnellate di detriti.

L’accumulo si è formato a partire dagli anni ‘80 a causa di un crescente inquinamento prodotto dall’uomo che ancora non si poneva problematiche di natura ambientale e ignorava la voce dei pochi movimenti ecologisti attivi.

La sua formazione è attribuita all’azione della corrente oceanica chiamata Vortice subtropicale del Nord Pacifico che attraverso la sua corrente che procede con un movimento a spirale in senso orario, ha permesso ai rifiuti galleggianti di aggregarsi fra di loro, formando un’enorme “nube” di spazzatura. 

La sua presenza, oltre a generare un danno ambientale degradante, sta agendo anche sulla fauna marina: molti animali che transitano in zona, sia pesci che uccelli, ingerendo plastica o detriti muoiono di occlusione intestinale o perforazione dello stomaco.

polirecupero_cornaredo_smaltimento_rifiuti

Mentre i rifiuti galleggianti di origine biologica sono spontaneamente sottoposti a biodegradazione, in questa zona oceanica continua ad accumularsi materiale non biodegradabile, come plastica e rottami marini. La plastica in particolare anzicchè biodegradarsi si fotodegrada, ovvero si disintegra in pezzi sempre più piccoli fino alle dimensioni dei polimeri che la compongono.

Il galleggiamento delle particelle plastiche, che hanno un comportamento idrostatico simile a quello del plancton, ne induce l’ingestione da parte degli animali planctofagi, e ciò causa l’introduzione di plastica nella catena alimentare. 

In sostanza l’isola costituisce un nuovo ecosistema dove la plastica è colonizzata da circa mille tipi diversi di organismi eterotrofi, autotrofi, predatori e simbionti, tra cui diatomee e batteri, alcuni dei quali apparentemente in grado di degradare la materia plastica e gli idrocarburi. In esso si trovano anche agenti potenzialmente patogeni, come batteri del genere vibrio. 

Due sono i principali problematiche da affrontare con urgenza:

  • smantellare l’isola;
  • eliminare i materiali che la compongono bloccando il costante accumulo che arriva attraverso le correnti.
Seabin

Per il primo, sarebbe necessario la movimentazione congiunta di tutte le nazioni per lo sviluppo di un piano di intervento massiccio e rapido, e ripartizione dei costi di recupero e smaltimento di tutti i rifiuti che compongono l’isola.

Per la seconda problematica, invece, sembra che un’idea interessante sia stata da una società fondata da due giovani australiani: il progetto si chiama Seabin. In sostanza si tratta di un bidone galleggiante in grado di filtrare 24h su 24h l’acqua marina, eliminando non solo i rifiuti solidi, ma anche i residui di detersivi e sostanze inquinanti. L’idea è di produrre questi sistemi su larga scala e distribuirli su ampie superfici di mare. Potrebbe essere un’ottimo inizio.